giovedì 16 giugno 2011

Libro sulla delfinoterapia

scritto da Kirsten Kuhnert
Ogni giorno un piccolo miracolo

«Sì, lo era, era un miracolo. Spunky aveva liberato Timmy dal suo coma vigile dopo esattamente un anno, quattro mesi e otto giorni.»
Alla festa per il battesimo della figlia, un tragico incidente pone fine alla vita famigliare assolutamente normale e felice di Kirsten Kuhnert. Suo figlio Timmy, di cinque anni, cade in una piscina abbandonata e piena di acqua piovana e annega. Un medico riesce a rianimarlo, ma le condizioni del bambino sono gravi. Per molto tempo rimane nella terribile condizione di «coma vigile». Decisa a non arrendersi, e sconvolta dalla visibile sofferenza di Timmy, Kirsten Kuhnert decide di rivolgersi a un istituto di Key Largo in Florida, dove da anni si sperimentano i benefici della terapia con i delfini. È la fine di un incubo durato 16 mesi: grazie al miracolo della «delfinoterapia», Timmy riuscirà a riemergere dall’abisso nel quale era precipitato e a intraprendere il viaggio verso una guarigione ritenuta impossibile.

Domande sull'ippoterapia

1. Quali sono le patologie più comuni trattate con l’ippoterapia?

Vengono trattate patologie di tipo cognitivo comportamentale, con origine sia organica che non e disfunzioni del sistema nervoso centrale con ricadute sul sistema muscolo scheletrico. In particolar modo vengono trattati bambini con esiti di paralisi cerebrale infantile (PCI). I quadri patologici che si presentano quindi possono interessare solo l’aspetto cognitivo-comportamentale, l’aspetto prettamente motorio o un mix dei due quadri.

2. Qual è la durata media di una seduta?

Una seduta dura 45 minuti, con cadenza monosettimanale.

3. Come e chi prescrive un ciclo d’ippoterapia?

Il ciclo di ippoterapia viene prescritto o dal Fisiatra o dal Neuropsicologo infantile.

4. Chi esegue le terapie?

L'ippoterapia è un approcio terapeutico che può essere usato da Fisioterapisti, Psicomotricisti, Neuropsicomotricisti dell'età evolutiva, Psicologi o Medici opportumanente formati sull'uso terapeutico del cavallo.

5. Esiste un protocollo di attività standard?

Ci sono delle attività codificate e dei momenti prestabiliti (che hanno anche valore simbolico e rituale) ma non c’è uno schema preciso.

6. Quali sono le attività proposte?


Ci sono delle tipiche attività di pulizia e cura del cavallo che si fanno a terra. Poi ci sono attività a cavallo che possono essere attive o passive, con l’operatore in maternage (termine che indica quando l’operatore sale a cavallo col bambino) o senza, che vanno ad incidere sulla sfera cognitiva-emozionale o sull’aspetto semplicemente motorio. Quando si ha a che fare con l'ippoterapia comunque questi due aspetti sono sempre legati, se c'è movimento c'è emozione e se c'è emozione c'è movimento.

7. Come variano le attività in funzione della patologia?

Più che le attività variano i fini per cui si fanno e si avrà un approccio diverso, quella che sembra la stessa attività può avere scopi completamente diversi. Ad esempio: essere portati in groppa, dopo aver svolto i compiti di cura del cavallo a terra, è un premio per l’impegno messo e per dare fine e significato all’attività fatta in precedenza. Essere portati a cavallo per ridurre il tono muscolare può sembrare uguale alla prima attività descritta ma nasce da uno scopo diverso.


 8
. Chi si occupa della preparazione / addestramento del cavallo per l’ippoterapia?

Non c’è un addestramento specifico, il cavallo viene abituato a non avere paura dei bambini, del corridoio della pedana per salire, delle carrozzine: tutti elementi estranei al cavallo finché non diventa un cavallo da ippoterapia. I cavalli sono erbivori e come tali ragionano da prede, se non conoscono una situazione per prima cosa la temono e scappano (la loro arma di difesa contro i predatori, in natura).

9. Quali caratteristiche deve possedere l’animale per essere utilizzato a tali fini?

Ci sono delle caratteristiche del carattere e fisiche.
Per il primo aspetto è fondamentale che il cavallo sia equilibrato e che non abbia paura, che non sia troppo abitudinario (altra forte caratteristica dei cavalli). Personalmente ci piacciono i cavalli con doti innate di curiosità che quindi sono portati a conoscere quello che si trovano davanti. Per quel che riguarda l’aspetto fisico i cavalli utilizzati devono avere delle schiene forti ma non troppo larghe, in generale non devono trottare o fare salti ma avere una buona qualità del passo e saper anche accettare in groppa due persone.


10. Qual è il ruolo del cavallo nella terapia?


Se l’ippoterapia fosse un farmaco, il cavallo sarebbe il principio attivo.

11. Quant’è importante “l’esperienza” del cavallo nella terapia? (il fatto che l’animale abbia già svolto cicli d’ippoterapia)


Non è molto importante, una volta che il cavallo ha conosciuto i muovi elementi di questo mondo, basta solo che “si comporti da cavallo”.

12. Quali sono le competenze e gli eventuali titoli necessari per svolgere questa professione?


In Italia ci sono tre vie: l’Anire di Milano fa formazione a professionisti della salute: fisioterapisti, logopedisti, neuropsicomotricisti, psicologi, medici, ecc.; l’associazione Lapo di Firenze, che collabora con l’università della città per il master di primo livello in ippoterapia; la Fise, la federazione italiana degli sport equestri, che forma persone nel mondo dell’equitazione.

13. Nella fase operativa della terapia, quali sono i compiti effettivi svolti dal terapista? (se il terapista lavora da solo o è assistito da qualcuno)

Si lavora in quattro: artiere (che tiene il cavallo e lo porta al passo), il cavallo, il terapista e il paziente-cavaliere.

14. Nella relazione “triangolare” paziente-cavallo-terapista, come si inserisce il terapista tra cavallo e cavaliere? (come mediatore? Interprete?)


Il terapista fa da filtro e decide quanto le maglie del filtro devono essere grandi, in altre parole “dosa quanto cavallo va somministrato al paziente”.

15. Perché funziona l’ippoterapia? Quale è la chiave del suo successo?

Nella vita di relazione ci sono sempre due canali attivi quello cosciente razionale e quello emozionale. La presenza del cavallo attiva in modo spontaneo ed immediato quello emozionale, le esperienze che ci emozionano di più sono anche quelle che rimangono più impresse. Va considerato poi il target della terapia, nel caso di bambini con aspetti di tipo motorio da trattare sono bambini che da quando sono nati hanno a che fare con medici, camici, fisioterapisti, box di fisioterapia, esercizi a tappeto, ortesi; tutte cose che rimandano a pensieri di asepsi, freddezza e ospedalizzazione. Per quanto gli operatori siano bravi a relazionarsi con i bambini il loro limite è intrinseco al luogo dove operano e alla figura che ricoprono: anche se un ambulatorio pediatrico è colorato e giocoso; per un bambino rimane sempre un ambulatorio, e quindi inserito in un contesto ospedaliero. L’ipoterapista ha dalla sua parte il fatto che che lavora con un cavallo (mai visto uno in ospedale…) in un luogo, il maneggio, che per le sue caratteristiche intrinseche è il più distante dall’ospedale: all’aperto, c’è la sabbia, la paglia, la “cacca” dei cavalli. Il cavallo poi è un prezioso collaboratore: più o meno consapevole del suo ruolo, trasmette informazioni su tutti i canali sensoriali ha un aspetto maestoso, specialmente per un bambino, è caldo, morbido, ha un odore ben preciso. Per quel che riguarda la sfera emozionale i cavalli hanno quella che si chiama in gergo “intelligenza emotiva”. Probabilmente per la loro natura di prede che devono sempre stare all’erta su chi si trovano di fronte e riescono a capire quale sia il comportamento tenere con i bambini. Lo scopo ultimo dell’ippoterapia è portare tutte le competenze che si acquisiscono in maneggio nella vita di tutti i giorni.* direttore sanitario di Arep Onlus e fisioterapista / ippoterapista

preso dal sito: http://www.ilgazzettino.it/articolo.php?id=138598&sez=DISABILI

Delfinoterapia come aiuto per la depressione

In psichiatria la depressione è: «sindrome caratterizzata dall’abbassamento del tono dell’umore, talvolta accompagnata da ansia, abulia (indebolimento e insufficienza della volontà), astenia (senso di debolezza, mancanza di forze), pensieri ossessivi non giustificati da validi motivi esterni».Non è quindi semplicemente tristezza, ma, quando è seria, è accompagnata da apatia, abbattimento, autocommiserazione paralizzante e senso di disperazione schiacciante. Diversa, quindi, dal naturale dolore  per una perdita o un lutto, anche se spesso lo accompagna. Secondo molti psicologi è il male della modernità (soprattutto dell’Occidente), che ultimamente contagia anche i bambini, perché spesso è legato alla gamma illimitata di scelte che il mondo ci propone.

riportata nel libro "Delfini guaritori" di Horace Dobbs : "Lui mi venne incontro e descrisse un cerchio intorno a me, poi risalì e mi guardò dritto negli occhi mentre mi passava accanto; mi sembrò che stesse guardando direttamente nella mia anima. Dovetti superare l'esame, perché poi ricomparve mostrandomi la pancia bianca, perché la grattassi. La mia prima esperienza con questa creatura meravigliosa era completamente avulsa dal tempo, libera da ogni limite; per la prima volta, da tempo immemorabile, sorridevo e ridevo dal profondo del cuore. Freddie mi aveva accettata e mi amava per la semplice ragione che egli così voleva, senza alcun vincolo. Quando uscii dall'acqua ero in estasi, con lacrime di gioia e di amore che mi scorrevano sul viso".Sono state proprio le tante esperienze positive di persone come questa signora che si sta diffondendo la delfinoterapia. I delfini si sono rivelati efficaci nella cura delle persone afflitte da forme anche gravi di depressione (come la signora inglese citata) . Secondo lo studioso francese Michel Odent, ciò è dovuto al fatto che "mentre gli animali domestici non tentano l'approccio se qualcuno si mostra insensibile verso di loro, i delfini non si arrendono mai, rimangono sempre disponibili, allegri e pronti a fare amicizia".

Delfinoterapia come aiuto per la tossicodipendenza

la maggior parte delle persone che soffrono di depressione e ansia non sono a conoscenza della loro dipendenza fino a quando non hanno del tutto consumato il controllo della loro vita.

Vi sono numerose organizzazioni che offrono assistenza e attenzione per molti di coloro che stanno tentando di trovare un trattamento per la loro dipendenza e depressione. I Tossicodipendenti possono dipendere sulla riabilitazione in centri come delfino selvatico Therapy Center che offrono un metodo di guarigione olistico che aiuta a imparare i modi migliori per controllare i propri pensieri sfavorevoli e i comportamenti.
È essenziale per i tossicodipendenti imparare e capire da cosa derivino i loro pensieri negativi e le loro  abitudini distruttive . Questo è dove la maggior parte dei centri di riabilitazione di droga si differenziano. Il trattamento migliore è quella che consente i tossicodipendenti di trattare con la loro sofferenza e trasmettere i loro sentimenti. Delfino selvatico Therapy Center si muove un ulteriore passo avanti permettendo ai tossicodipendenti di  dirigere le loro emozioni  verso una strategia più innovativa.
Il delfino li porta alla strada più benefica della ripresa.  Quando tossicodipendenti diventano più consapevoli dei loro sensi (vista, odore, tatto, gusto, udito, equilibrio e sensazioni interne), alla fine essi riconoscono che non si sentono loro pensieri. Capiscono che la loro depressione e pensieri negativi sono assolutamente nulla, ma le sensazioni fisiche invece contano, imparano a gestire i loro pensieri consentendo così  di evitare possibili risposte  delcorpo che possano innescare la loro ansia e depressione. In questo momento ci sono varie cliniche di riabilitazione superba intorno al mondo. E' meglio invece di andare in un centro di riabilitazione vicino alla vostra casa. di liberarsi dalla vita quotidiana costituita da potenziali distrazioni andando a un centro di dipendenza Dallas o un programma di riabilitazione di droga di Belize .

mercoledì 8 giugno 2011

Il cavallo nella mitologia

 Il cavallo è stato per millenni un amico temibile per l'uomo, ed è inevitabile che abbia ispirato "strane"creature. Poi è stato riadottato dal mondo del fantasy e dei giochi di ruolo, ed oggi sta godendo di una rinnovata fortuna. Riporto qui sotto alcune creature che mi hanno più colpito nella mitologia nelle sembianze di un cavallo:

1: Il cavallo più famoso nella mitologia è Pegaso, nato da una goccia di sangue caduta dalla testa di Medusa e generato da Poseidone. Pegaso poteva volare nel cielo grazie a due gradi ali e fu affidato e domato da Bellerofonte per combattere la Chimera.

2: Unicorno:   Nelle leggende l'unicorno simboleggia poteri magici e misteriosi, cure terapeutiche, saggezza e purezza. ;  per secoli furono venduti come corno di unicorno il corno del rinoceronte e il corno del narvalo. Negli arazzi nobiliari l'unicorno aveva inoltre il significato di nobiltà.

L'unicorno o liocorno è un animale immaginario dal corpo di cavallo con un singolo corno in mezzo alla fronte. Il nome deriva dal latino unicornis ("un solo corno"). Il liocorno è tipicamente raffigurato come un cavallo bianco dotato di attributi magici, con un unico lungo corno avvolto a torciglione sulla fronte. Molte descrizioni attribuiscono all'unicorno anche una barbetta caprina, una coda da leone e zoccoli divisi. Simbolo di saggezza, nell'immaginario cristiano poteva essere ammansito solo da una vergine, simbolo della purezza. Si credeva che se il corno fosse stato rimosso, l'animale sarebbe morto. Nella tradizione medievale, il corno a spirale è detto alicorno, e gli è attribuita la capacità di neutralizzare i veleni. Questa virtù è desunta dai resoconti di Ctesia sull'unicorno in India, dove sarebbe stato usato dai governanti del luogo per fabbricare coppe in grado di rendere innocui i veleni.  Nel 1827 il famoso naturalista francese Georges Cuvier afferma l'impossibilità dell'esistenza di un mammifero perissodattilo con un unico corno frontale. Questa presa di posizione indirizzerà la scienza naturalistica nel corso dell'800 ad escludere definitivamente l'unicorno dalla lista degli animali esistenti. Alcuni pensano che questo animale sia stato ispirato ad una antilope africana della specie Orice. Persino nel palio delle contrade di Siena, palio di origini medievali e che si corre, come ognun sa, ancor oggi, seppur in un contesto diverso, vi è, tra le 17 contrade, quella del Leocorno (unicorno), rappresentata da un cavallo col corno in testa.



3: Ippogrifo: animale nato dalla fantasia di Ludovico Ariosto e descritto ne "L'Orlando furioso". E' rappresentato con il corpo di un cavallo alato e la testa di un'aquila; ha zampe posteriori e corpo di cavallo o di leone e testa, collo, ali e zampe anteriori d’aquila o di avvoltoio.
" Non è finto il destrier, ma naturale, Ch'una giumenta generò d'un grifo: Simile al padre avea la piuma e l'ale, Li piedi anteriori, il capo e il grifo; In tutte l'altre membra parea quale Era la madre, e chiamasi ippogrifo " (IV, 18).



4: centauro: creatura metà uomini e metà cavalli. Venivano considerati genti pericolose che portavano spesso lo scompiglio nelle città per i loro modi barbari e per il loro amore per le donne e il vino. Tra i Centauri si distingueva però Chirone che aveva difatti una diversa e più aperta mentalità. Per questo veniva considerato il più saggio e il più esperto per quanto riguardava erbe medicinali e antidoti. Giove riconoscendo quale grande personaggio fosse gli concesse l'immortalità.

Storia, leggende e mitologie riguardanti il delfino

Da moltissimo tempo questi cetacei hanno incuriosito l’uomo.
Considerati – di volta in volta – compagni di gioco, divinità o semplici intralci per i pescatori, questi “cugini” delle balene, ancora oggi, nelle tradizioni e culture delle rive mediterranee, vengono ammirati. I delfini furono oggetto di culto soprattutto per le antiche civiltà mediterranee che hanno generato le nostre attuali società e la cui mitologia costituisce una parte importante del patrimonio culturale.
In greco “delphys” significa “matrice” e dimostra il rispetto per questi mammiferi marini.
Le prime testimonianze scritte di questo culto risalgono al 1500 A.C. quando poeti, scrittori e filosofi – sia greci che romani – ritenevano che i delfini e le balene fossero creature divine: reincarnazione di anime umane che rappresentano la forza vitale del mare.

Nazzareno Tomassetti e “Anfitrite e il delfino”, L'opera  rappresenta il mito di Anfitrite, ninfa marina amata da Nettuno (Poseidone) che fu da lui sedotta con la complicità di un delfino, si trova nel lungomare sud di Cupra Marittima

Rappresentazioni di delfini le ritroviamo su dipinti, affreschi, monete e mosaici che erano molto diffusi in queste civiltà: in particolare a Creta, in Grecia e in Italia.
Già verso il 2200 A.C. alcuni delfini venivano rappresentati sui muri di una grotta in Norvegia. Successivamente molteplici opere d’arte avranno, quali soggetti principali, i delfini: Apollo si trasforma in delfino per guidare i cretesi a Corinto; Nettuno seduce e sposa la figlia di Nereo grazie ai delfini; Eros cavalca i delfini per attraversare il mare; Ulisse fa dei delfini le sue armi e la sua guida e sarà proprio un delfino a salvare suo figlio Telemaco.
Le divinità greche, che avevano contemporaneamente l’aspetto umano e i poteri soprannaturali, spesso assumevano le sembianze dei delfini: Apollo, Demetrio e Afrodite furono per lungo tempo identificati con questi mammiferi.
La dea Delfina annunciava il tempo buono e la dea Pesce era associata alla fertilità: questi due elementi si fusero e, successivamente, la dea nabatea Galenaia (simbolo dell’amore fisico nato dal mare) aveva come simbolo i delfini. I Nabatei sono solo un esempio delle tante civiltà che nutrivano un culto fervente verso i delfini.
Un sarcofago ebreo del II secolo dopo Cristo, ritrovato a Beit Shearim vicino Harfa, è ornato con delfini. Coppe, vasi, monete e monili micenei, fenici, greci e romani rappresentano i delfini. Ritroviamo questi cetacei anche all’interno di templi e palazzi reali: a Creta, nel Palazzo di Cnosso, la camera della regina è ornata con affreschi risalenti al 1500 A.C. che raffigurano delfini;  una tradizione ancora oggi in uso in alcuni villaggi greci vuole che una moneta con la riproduzione di un delfino venga messa nella mano destra di un defunto per assicurargli un “viaggio felice e senza intralci” verso l’aldilà.
Per i primi cristiani il delfino costituiva il simbolo della resurrezione ed intercedeva  per proteggere l’uomo nei tumulti del mare  guidandolo fino a terra, finalmente “purificato dei suoi peccati”.
Siracusa, 480 A. C. In onore della sposa del tiranno Gelone, viene coniata una moneta d’argento attico di 10 dracme: su un lato è riprodotta la testa di Aretusa cinta da una corona di lauro e circondata da 4 delfini.
Sempre 4 delfini li ritroviamo in molti mosaici come quelli della Casa dei Tridenti a Delo, a Pompei, in Cina e in altre popolazioni indiane.
I delfini sono i protagonisti anche della letteratura: racconti, poesie, leggende, favole, canti e miti hanno come protagonisti i nostri amici cetacei.
Nell’antichità, sia Atene che Roma consideravano sacri i delfini.
In Grecia essi erano considerati sacri ed il loro nome veniva associato al culto di Apollo a Delfi. Nei miti dell’antichità i delfini sono considerati messaggeri di Apollo con la funzione di intermediari tra l’Olimpo e i mortali.
A Roma Plinio il Vecchio, Plinio il giovane, Plutarco ed altri scrittori, filosofi e viaggiatori dell’epoca descrivono la particolare amicizia tra uomini e delfini. Essi descrivono episodi di incontri con i delfini nel Mediterraneo. Proprio Plinio il Vecchio ci racconta ne “Le storie naturali” il modo in cui i delfini e gli uomini comunicano tra loro per catturare pesci negli stagni di Languedoc. E la città di Sète, vicina alla Camargue in Provenza, ha come logo il delfino.
I delfini hanno suscitato negli scrittori e nella letteratura in genere sentimenti di pace, di positività, di intelligenza: la loro disponibilità a relazionarsi con l’uomo, ad essere “gentili e nobili” ha loro attribuito, sin dall’antichità, “poteri sovrannaturali”. Queste leggende sono comunque utili per spiegare ciò che l’uomo allora non sapeva: l’anatomia dei delfini, il loro essere mammiferi, la fisiologia.
La mitologia e sacralità dei delfini non è solo presente sui bordi del Mediterraneo. Si ritrova anche in Africa, Asia, America e Oceania: in questi luoghi tradizioni e leggende ci trasmettono preziose indicazioni sulla presenza dei delfini.

Vita segreta dei delfini

E'un libro, il cui autore è Smolker Rachel:

La Shark Bay sulla costa occidentale dell'Australia è un'incredibile distesa d'acqua che si getta nell'oceano Indiano. Nel 1982, l'americana Rachel Smolker, allora studentessa di biologia, si trasferì in una delle sue remote spiagge, Mokey Mia, per studiare i delfini, che pur vivendo in quella baia allo stato selvaggio, interagiscono con l'uomo, mangiano dalle sue mani, giocano con lui, si spingono a pochi metri dalla riva. Durante i 15 anni che seguirono, la Smolker ha esplorato la vita di questi cetacei, li ha conosciuti a uno a uno, ha dato loro un nome, ha analizzato le loro caratteristiche fisiche e psicologiche, ha cercato di comprenderne la personalità. Da un incontro così emozionante è nato questo libro che svela i segreti dei delfini.

leggende sui delfini:
La leggenda collega l'origine dei delfini a una punizione che Dioniso inflisse a un gruppo di pirati: dopo averli lanciati in mare, pensò bene di trasformarli in delfini e, da quel momento, questi animali avrebbero poi sviluppato una forma di melanconico affetto verso noi esseri umani. Le successive leggende ricalcano tutte questo mito, in un modo o nell'altro: il musicista greco Arione pare siano stati i delfini a riportarlo a riva sano e salvo; scrittori autorevoli come Plinio il Vecchio ci narrano di splendide amicizie tra delfini e fanciulli.Poi la scienza ha contribuito a dimostrare l'intelligenza dei delfini, che pare sia superiore anche a quella degli scimpanzé.

martedì 7 giugno 2011

Informazioni sulle caratteristiche del delfino


 Le origini di questi animali acquatici sono molto particolari;  la vita che si è sviluppata sulla terra ha avuto origine negli oceani mentre per quanto riguarda i cetacei, in particolare i delfini, essi  hanno avuto un’evoluzione particolare: dopo essere diventati mammiferi terrestri, circa 50 milioni di anni fa hanno scelto di ritornare al mare adattandosi alla vita acquatica.
Il cervello del delfino è tra i più simili a quello dell’uomo per peso, sviluppo della corteccia e connessione tra i due emisferi. L’intelligenza di questi mammiferi è stata recentemente studiata con criteri rigorosamente scientifici (Herman). È stato dimostrato che sono capaci di riconoscere fino a cinquanta suoni o simboli corrispondenti ad altrettante parole, e che sono in grado di comprendere anche la struttura della frase agendo in modo diverso a seconda dell’ordine in cui queste "parole" vengano loro proposte. I delfini sono anche dotati della funzione dell’ecolocazione.
I delfini sono in grado di individuare e mantenere in superficie persone in difficoltà, ma diversamente da quello che farebbero con i compagni della loro stessa specie, spingono questi esseri umani verso riva, come se capissero il loro bisogno di raggiungere la terra ferma. Oltre a questo soccorso "fisico" i delfini influenzano positivamente anche la psiche umana. Coloro che hanno nuotato con i delfini hanno avuto quasi sempre l’impressione che essi interagissero con le persone immerse come se comprendessero il loro umore: timidi e distanti con chi ha timore, giocosi con chi è eccitato, carezzevoli con chi è rilassato.
Sembra quindi che nuotare con i delfini abbia effetti positivi sulla psiche umana. Lo confermano esami elettroencefalografici effettuati in USA su persone partecipanti a corsi di nuoto, prima e dopo l’immersione. Horace Dobbs e diversi studiosi australiani ritengono che siano soprattutto i suoni e ultrasuoni, emessi dai delfini, i responsabili dei cambiamenti negli esseri umani.
Tuttavia l’ipotesi attualmente più accreditata è quella che attribuisce l’efficacia della delfinoterapia ad un complesso di fattori, che vanno dall’immersione nell’acqua al contatto fisico e alo scambio giocoso con gli animali. L’immersione nell’acqua è di per sé un’esperienza particolare, per il legame concreto, e l’acqua salata aiuta a sciogliere alcune rigidezze corporee che spesso corrispondono a blocchi emotivi; fornisce un sostegno che facilita l’equilibrio, la fluidità del movimento e le sensazioni di rilassamento che ne derivano. Il flusso dell’acqua, infine, offre una stimolazione tattile che migliora al percezione del proprio corpo. La presenza dei delfini sembra moltiplicare gli effetti positivi del contatto con l’acqua. Tutte le testimonianze raccolte indicano che l’incontro con queste creature è un’esperienza eccezionale, profondamente coinvolgente a livello psichico.

lunedì 6 giugno 2011

Solo al delfino la natura ha donato
ciò che ricerca il migliore dei filosofi:
l'amicizia disinteressata.
Benchè non abbia alcun bisogno dell'uomo,
egli gli è amico fedele,
e numerosi sono quelli che ha aiutato.
(Plutarco)
 




Il legame dell'uomo con i delfini, ha radici talmente profonde, tanto da diventare parte integrante della storia e della cultura di quasi tutti i popoli della terra.
Ci sono 150 centri al mondo in cui viene praticata la delfinoterapia, ma l’universo scientifico convenzionale è diviso.

Dal libro di Allegra Taylor "Acquainted with the Night"

Questa è la storia di Lee come raccontata dal padre Robert White.
La storia ha inizio quando i genitori vanno all'ospedale dove Lee è ricoverata, come fanno ogni sera da tempo.
"Non è facile morire quando hai solo quindici anni, ma Lee aveva già accettato il suo destino," mi disse il padre. Come parlava i suoi occhi erano lucidi e poteva a malapena mantenere la voce udibile.
"Sapeva di avere una malattia che non l'avrebbe risparmiata. Sapeva che, malgrado tutti gli sforzi dei medici, non sarebbero riusciti a salvarla. Soffriva molto ma non si lamentava mai.
"Quella sera era particolarmente tranquilla e composta, ma all'improvviso si animò: "Papà, mamma - so che tra breve morirò ma non ho paura. So che andrò in un mondo migliore di questo; voglio avere finalmente pace, ma mi è difficile accettare che morirò a soli quindici anni."
"Avremmo potuto mentire, dirle che certamente non stava per morire, ma non avemmo il cuore di farlo. Il suo coraggio ci sembrava più importante di una nostra finzione. Così l'abbracciammo e piangemmo in silenzio. Dopo un po' riprese:
"Ho sempre sognato d'innamorarmi, di sposarmi di avere bambini... ma soprattutto avrei voluto lavorare in un parco marino con dei delfini.
"Mi piacciono così tanto e avrei voluto imparare a conoscerli da quando ero piccola.
"Sogno ancora di nuotare con loro, libera e felice nel mare."
"Non aveva mai chiesto niente, ma in quel momento parlò con forza:
"Papà, voglio nuotare nel mare con i delfini solo una volta. Forse così non avrò più paura di morire."

"Sembrava un sogno assurdo ed impossibile, ma Lee, che aveva già abbandonato tutto, si aggrappò tenacemente al desiderio. Così con mia moglie decidemmo di fare il possibile. Avevamo sentito parlare di un centro di ricerca in Florida e telefonammo il giorno dopo. "Venite immediatamente", fu la risposta.
"Ma era più facile dirlo che farlo. La malattia di Lee aveva esaurito I nostri risparmi e non sapevamo come fare per pagarci il volo aereo a Miami. Poi l'altra figlia più piccola ci disse che aveva sentito in televisione di una fondazione che tenta di esaudire i desideri di bambini molto malati. Aveva scritto il numero di telefono sul suo diario perché le sembrava una cosa magica.
"Ma non volevo ascoltarla. La storia mi sembrava una favola o uno scherzo crudele; mi arresi quando Emily cominciò a piangere e ad accusarmi di non volere aiutare veramente Lee. Così telefonai e tre giorni dopo partimmo. Emily si sentiva un poco come una madrina delle fate che aveva risolto i nostri problemi con un gesto della sua bacchetta magica.
"Quando scendemmo dall'aereo Lee era molto pallida e sembrava terribilmente magra. La chemioterapia che stava seguendo le aveva fatto perdere tutti i capelli e le dava un aspetto spettrale, ma non si volle riposare neanche un minuto e ci pregò di portarla subito dai delfini.
"Fu una scena indimenticabile. Quando entrò nell'acqua era già così debole che quasi non riusciva a muoversi. L'avevamo messa in una muta per non raffreddarsi, e fatta indossare un salvagente per tenersi a galla.
"La trascinai verso i due delfini, Nat e Tursi, che stavano giocando tra loro a circa dieci metri di distanza. All'inizio sembravano distratti e non interessati, ma quando Lee li chiamò sommessamente per nome risposero senza esitazione. Nat arrivò per primo, sollevò la testa e le diede un cacio sulla punta del naso. Poi arrivò Tursi, che la salutò con una serie di grida gioiose. Un secondo dopo la sollevarono con le loro potenti pinne e la portarono più al largo.
"Mi sembra di volare," gridava Lee, ridendo di gioia.
Non l'avevo sentita ridere in quel modo da quando s'era ammalata.
Mi sembrava incredibile che tutto ciò stesse succedendo; ma vedevo Lee che, aggrappata alla pinna di Nat, sembrava sfidare il vento e l'immensità dell'oceano.
I delfini stettero con la bambina per più di un'ora, sempre gentili, sempre attenti, mai mostrando la loro forza, sempre sensibili ai suoi desideri.
"Forse è vero che sono delle creature più intelligenti e sensibili di quanto sia l'uomo. Quello che so per certo è che quei meravigliosi delfini sapevano che Lee stava per morire e volevano consolarla come fronteggiava il suo grande viaggio verso l'ignoto. Da momento che la presero in custodia non la lasciarono per un solo secondo.
La fecero giocare ed obbedirono i suoi comandi con una dolcezza che sembrava magica.
Nella loro compagnia Lee trovò per l'ultima volta l'entusiasmo e la voglia di vivere. Sembrava forte e felice come lo era un tempo.
Ad un certo punto gridò: "Papà, i delfini mi hanno guarita!"
Era come se fosse rinata.
"Non ci sono parole che possano descrivere l'effetto che l'incontro ebbe su di lei. Quando uscì dall'acqua era come se fosse rinata.
Il giorno dopo era troppo debole per alzarsi. Non voleva neanche parlare , ma quando le presi la mano la strinse e sussurrò:
"Papà, non essere triste per me. Non ho più paura. I delfini mi hanno fatto capire che non c'è niente di cui aver paura". Poi aggiunse:
"So che morirò stanotte. Promettimi di cremare il mio corpo e di spargere le ceneri nel mare dove vivono I delfini. Mi hanno lasciato con una grande pace nel cuore e so che saranno con me nel viaggio che dovrò fare."
"Prima dell'alba si svegliò e disse: "Abbracciami papà, ho molto freddo."
"Morì così tra le mie braccia dopo pochi minuti, passando dal sonno alla morte senza una fluttuazione. Ho solo notato che aveva finito di soffrire perché il suo corpo divenne più freddo e più pesante.
"la cremammo come voleva e il giorno seguente andammo a spargere le ceneri nel mare tra i delfini.
Stavamo tutti piangendo, non mi vergogno di dirlo. Non solo io e mia moglie e gli altri figli, ma anche l'equipaggio della barca che ci aveva portato al largo della baia. Improvvisamente, attraverso le nostre lacrime, vedemmo le forme arcuate ed argentee di Nat e Tursi saltare nell'acqua di fronte alla barca. Erano venuti per portare nostra figlia a casa."


i delfini tornano a popolare le isole pontine